20 ottobre 1915
Cara famiglia,
Vi scrivo da dentro la trincea. Sembra che attualmente ci
sia una quiete momentanea. La situazione è veramente difficile, non come
immaginavo o immaginiate. Il comandante dice che dobbiamo tenere duro, che ben
presto vi potremmo riabbracciare; ma sapete? Mi piacerebbe credere alle sue
parole, ma non è così. Appare difficile rimanere vivi tra mille pallottole
inferocite che tutti i giorni ci sfiorano. Appare impossibile rimanere immuni
alla paura, alla malinconia.
Ricordo ancora quando ero li con voi. Le lenzuola pulite
che la mattina mi svegliavano con il dolce profumo di bucato. La colazione che
tu madre, mi facevi trovare sul tavolo e il caloroso "Buongiorno". Le
urla degli amici, che mi venivano a chiamare per uscire. E poi ancora, l'odiosa
minestra calda, che madre ci preparavi tutti i giorni; sai? Non lo mai sopportata,
ma ora, ora farei l'impossibile per riassaporarla. Le partite a calcetto con
mio fratello, che si rassegnava alla mia bravura. Ed infine le lunghe nottate,
in un comodo e caldo letto, con una soffice coltre. Adesso che mi trovo in
questo tempo fa male ricordare i bei tempi.
I continui spari hanno fermato una musica bellica che
rimbomba nelle nostre menti, le urla riempiono giorno e notte. Siamo
costantemente nelle trincee, nella trincea, precisamente. Si, è da quando siamo
arrivati che ci troviamo qui. Non riusciamo ad avanzare e tantomeno gli
avversari. Pochi metri ci separano. Metri completamente ricoperti da filo
spinato, una sorta di protezione, che in realtà una protezione non è affatto.
C'è un odore sgradevole in trincea. Noi siamo sgradevolmente sporchi. Il cibo è
scarso, siamo fortunati se riusciamo a bere acqua pulita e a mangiare qualcosa.
Dormire è impossibile; continui rumori ci tengono svegli. Come se non bastasse,
siamo in contro all'inverno e anche il freddo arriverà a colpirci, la pioggia è
già arrivata ed ha peggiorato la situazione. Così dopo aver piovuto tutto il
giorno, ci ritroviamo in una grande pozzanghera di melma e fango.
Ma la cosa peggiore è che continuamente uomini muoio.
Oggi, è morto Salah. Venerdì Mark. Giovedì Sami. Mercoledì Giovanni. Martedì il
postino. E così via. Molte persone sono morte ed altre ne moriranno. Sami
diceva che avrebbe riabbracciato sua moglie e sia figlia. Era il più coraggioso
tra di noi. Diceva che il nostro compito era lottare per la patria. Non meritava
questa fine, come nessun'altro di noi. Ma quel maledetto proiettile lo colpi
giovedì, non ci fu niente da fare per lui. Il proiettile era troppo vicino al
cuore. Ricordo le sue ultime parole prima di iniziare un'interminabile sonno
"Combattete. Non lasciatevi abbattere!". Combatteremo per riscattare
lui e tutti gli altri fratelli morti. Chi darà un padre alla figlia di Sami? E
un marito alla moglie? Questi pensieri mi uccidono.
Oggi, è caduto nella trincea un uomo dalla divisa
diversa. Non sappiamo la causa della sua morte, forse un proiettile? Quasi
sicuro. Era in fin di vita, anche lui. Piangeva e continuava a ripetere parole
indecifrabili per noi. Chi può sapere qual era il suo mestiere: medico,
avvocato, postino, operaio o contadino. Anche lui, uguale a noi, con una
famiglia che lo aspettava a casa. Chi informerà i parenti dell'accaduto? Chi
dirà alla gente del suo paese di aver perso un bravissimo medico, operaio o
contadino? Nessuno. Nessuno potrà mai risarcire queste persone.
Ho paura, paura di poter morire proprio come il soldato
caduto, proprio come i miei amici. Cari genitori, spero un giorno di poter fare
giustizia a Salah, Mark, Sami, Giovanni e tutti i morti di guerra. Spero di
poter rimangiare prima o poi l'odiosa ma amabile minestra che tanto mi manca.
Cara famiglia, vi mando un saluto e un abbraccio.
Vostro Francesco
Nessun commento:
Posta un commento