martedì 15 aprile 2014

Dalla trincea...

20 ottobre 1915
Cara famiglia,
Vi scrivo da dentro la trincea. Sembra che attualmente ci sia una quiete momentanea. La situazione è veramente difficile, non come immaginavo o immaginiate. Il comandante dice che dobbiamo tenere duro, che ben presto vi potremmo riabbracciare; ma sapete? Mi piacerebbe credere alle sue parole, ma non è così. Appare difficile rimanere vivi tra mille pallottole inferocite che tutti i giorni ci sfiorano. Appare impossibile rimanere immuni alla paura, alla malinconia.
Ricordo ancora quando ero li con voi. Le lenzuola pulite che la mattina mi svegliavano con il dolce profumo di bucato. La colazione che tu madre, mi facevi trovare sul tavolo e il caloroso "Buongiorno". Le urla degli amici, che mi venivano a chiamare per uscire. E poi ancora, l'odiosa minestra calda, che madre ci preparavi tutti i giorni; sai? Non lo mai sopportata, ma ora, ora farei l'impossibile per riassaporarla. Le partite a calcetto con mio fratello, che si rassegnava alla mia bravura. Ed infine le lunghe nottate, in un comodo e caldo letto, con una soffice coltre. Adesso che mi trovo in questo tempo fa male ricordare i bei tempi.
I continui spari hanno fermato una musica bellica che rimbomba nelle nostre menti, le urla riempiono giorno e notte. Siamo costantemente nelle trincee, nella trincea, precisamente. Si, è da quando siamo arrivati che ci troviamo qui. Non riusciamo ad avanzare e tantomeno gli avversari. Pochi metri ci separano. Metri completamente ricoperti da filo spinato, una sorta di protezione, che in realtà una protezione non è affatto. C'è un odore sgradevole in trincea. Noi siamo sgradevolmente sporchi. Il cibo è scarso, siamo fortunati se riusciamo a bere acqua pulita e a mangiare qualcosa. Dormire è impossibile; continui rumori ci tengono svegli. Come se non bastasse, siamo in contro all'inverno e anche il freddo arriverà a colpirci, la pioggia è già arrivata ed ha peggiorato la situazione. Così dopo aver piovuto tutto il giorno, ci ritroviamo in una grande pozzanghera di melma e fango.
Ma la cosa peggiore è che continuamente uomini muoio. Oggi, è morto Salah. Venerdì Mark. Giovedì Sami. Mercoledì Giovanni. Martedì il postino. E così via. Molte persone sono morte ed altre ne moriranno. Sami diceva che avrebbe riabbracciato sua moglie e sia figlia. Era il più coraggioso tra di noi. Diceva che il nostro compito era lottare per la patria. Non meritava questa fine, come nessun'altro di noi. Ma quel maledetto proiettile lo colpi giovedì, non ci fu niente da fare per lui. Il proiettile era troppo vicino al cuore. Ricordo le sue ultime parole prima di iniziare un'interminabile sonno "Combattete. Non lasciatevi abbattere!". Combatteremo per riscattare lui e tutti gli altri fratelli morti. Chi darà un padre alla figlia di Sami? E un marito alla moglie? Questi pensieri mi uccidono.
Oggi, è caduto nella trincea un uomo dalla divisa diversa. Non sappiamo la causa della sua morte, forse un proiettile? Quasi sicuro. Era in fin di vita, anche lui. Piangeva e continuava a ripetere parole indecifrabili per noi. Chi può sapere qual era il suo mestiere: medico, avvocato, postino, operaio o contadino. Anche lui, uguale a noi, con una famiglia che lo aspettava a casa. Chi informerà i parenti dell'accaduto? Chi dirà alla gente del suo paese di aver perso un bravissimo medico, operaio o contadino? Nessuno. Nessuno potrà mai risarcire queste persone.
Ho paura, paura di poter morire proprio come il soldato caduto, proprio come i miei amici. Cari genitori, spero un giorno di poter fare giustizia a Salah, Mark, Sami, Giovanni e tutti i morti di guerra. Spero di poter rimangiare prima o poi l'odiosa ma amabile minestra che tanto mi manca. Cara famiglia, vi mando un saluto e un abbraccio.

                                                                                                                                  Vostro Francesco

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